Edo Sarasa
Storia di Sarasa
L'arte Sarasa in Giappone si può definire la creazione di "disegni tinti sul tessuto principalmente di cotone": ha origine in India e infatti molti degli esemplari del XVIII secolo giunti fino a noi, che si chiamano Kowatari Sarasa (letteralmente "antica Sarasa importata") sono stati prodotti in India. Già nel XIV-XV secolo la Sarasa indiana era diffusa in Europa e in Asia; dal 1760 circa (metà dell'epoca di Edo) cominciarono a imporsi Sarasa prodotti in Europa ("Sarasa Europea"). In seguito la Sarasa indiana non riuscì ad eguagliare la sempre più alta qualità di quella europea ed entrambe queste Sarasa si distinguono nettamente da Kowatari Sarasa.Durante l'epoca di Edo si cominciarono a tingere disegni simili a Sarasa anche in Giappone: viene chiamata Wa Sarasa. I luoghi di produzione principali sono Nabeshima (nord Kyûshû), Sakai (vicino a Ôsaka), Kyôto, Amakusa (Nord Ovest di Kyûshû) ed Edo dalla fine della medesima epoca. Questa diffusione fu resa possibile dall'inizio della coltivazione del cotone e dal possesso della tecnica sviluppata per la tintura con serigrafia.
Sarasa era di gran moda fra i commercianti arricchitisi grazie allo sviluppo economico di quest'epoca. Il governo spesso proibiva le manifestazioni eccessive di lusso, e una legge del 1825 poneva limiti anche allo sfarzo della Sarasa. Ciò comunque non impediva la ricerca di sempre maggior raffinatezza, e molti indossavano indumenti lussuosi sotto una giacca di colore sobrio. Sarasa si usava anche per decorare borse e borsette e biancheria.
A Edo, la capitale politica e economica, i commercianti avevano un grande potere d'acquisto e per rispondere alle loro esigenze gli artigiani di Edo svilupparono tecniche di tintura di livello sempre più alto. Una di queste era la serigrafia, che consentiva la produzione e la diffusione dei tessuti decorati in quantità. Edo Komon, un'altra tintura tipica di Edo, è caratterizzata da micro-disegni che sembrano quasi tinta unita; per Sarasa invece si usano da 30 a 300 modelli di carta per tingere un disegno in molti colori: è il tipo più raffinato di serigrafia.
Lavorazione di Edo Sarasa
Rispetto a Kyô Sarasa (Sarasa di Kyôto), Edo sarasa ha colori più spenti, per la differenza dell'acqua usata: quella di Kyôto è dolce mentre quella di Tôkyo è più dura.
Edo Sarasa in sintesi:
- Incisione sul modello di carta. Per il modello viene usata la carta giapponese indurita con una sostanza estratta dai kaki. Ise Katagami, tipo di carta prodotto a Ise nella provincia di Mie, si usava anche per Edo Komon.
- Si fissa il tessuto bianco per kimono su una tavola lunga 14 metri. Si incolla con la colla di riso in modo che non ci siano bolle d'aria fra il tessuto e la tavola. Partendo dall'estremità, si posa sul tessuto un modello e si friziona un colore. Si sposta la carta via via che si tinge e quando si arriva all'altra estremità del tessuto si cambia la carta e si ripete per frizionare un altro colore. In media si usano dai 30 ai 40 modelli per tingere tutti i colori del disegno uno sopra all'altro.
- Fatto questo, si appende il tessuto e si dipinge a mano il profilo dei disegni, e a volte si decora ulteriormente con altre tecniche come la sfumatura.
- Si bolle il tessuto a vapore per fissare il colore; lo si lava con acqua e si termina la lavorazione con l'ultima rifinitura.
Ochiai
Ochiai (Shinjuku-Tokyo) è un quartiere dove si tramanda la tintura di Edo. Nell'epoca di Edo il quartiere dove c'erano più artigiani di tintura era Kon-ya chô (Kanda). Ma con l'inquinamento dell'acqua del fiume i laboratori si trasferirono a Ochiai di Shinjuku, alla confluenza di due fiumi che forniscono acqua pura in quantità, e così Ochiai diventò il quartiere principale per tintura di Edo: a un certo punto vi si trovavano oltre 300 laboratori.
«Cambiamo per non cambiare»
Dopo la seconda guerra mondiale, con il cambiamento degli abiti usati dai Giapponesi e il declino dell'industria di Kimono, anche a Ochiai scompaiono gli artigiani e sopravvivono circa 10 fabbriche.Futabaen, fondato 90 anni fa, è uno dei pochi laboratori artigianali di tintura di Edo ancora esistenti. Motobuji Kobayashi, direttore della quarta generazione, ha ideato e ha realizzato il progetto "Rinascita degli artigiani tintori di Edo" nel 2008. Suo padre Bunjirô, la terza generazione, vinse numerosi premi fra cui il premio del Ministero di trasporti e industria al concorso nazionale di tintura nel 1977. Creava arazzi, foulards, accessori di moda e ricercava nuove vie per la tintura tradizionale.
Nel 2003 il signor Motobumi ha organizzato una mostra di Edo Sarasa e Komon all'ambasciata giapponese di Londra.
Poi ha ideato questo progetto che nasce dal desiderio di costituire una rete degli artigiani tradizionali di tutto il mondo. Lo sostengono un architetto, uno stilista di arredamento, un calligrafo e un creativo. Il nuovo laboratorio è totalmente rivoluzionario ed è affiancato da una galleria e dalla pubblicazione di un libro di presentazione: si tratta di un progetto molto grande e complesso per essere quello di un singolo laboratorio.
Ho intervistato il signor Motobumi Kobayashi, il direttore che si è occupato dall'ideazione alla realizzazione alla sua fabbrica.
Futabaen si trova vicino alla stazione ed è su lungofiume Kanda. Dietro il recinto in legno tradizionale il nuovo laboratorio è tutto vetrato. In fondo al corridoio c'è la galleria con il caffè. Alla galleria si vendono oggetti piccoli con i disegni di Sarasa e Komon e il caffè ha lampade con paralumi con i disegni di Sarasa. Mi riceve la signora, Keiko Kobayashi, al caffè. Partecipa alle fiere in Francia e in Germania per far conoscere i disegni di Edo Sarasa. È lo spirito della famiglia? La passione per la tintura? Arriva il signor Motobumi Kobayashi. Racconta la storia della tintura di Edo, i problemi degli artigiani di oggi e il progetto nato per mantenere e tramandare la tradizione.
«Prima i tintori di Edo stavano in un altro quartiere sul fiume Kanda al centro di Edo. Ma dalla seconda metà dell'Epoca di Edo quel fiume iniziò a essere inquinato. Nell'epoca Meiji gli artigiani si trasferirono a Ochiai, Waseda, Takada no Baba sul corso superiore dello stesso fiume. Questa zona era famosa anche per le lucciole: l'acqua doveva essere ancora pura. Insieme a loro sono venuti altri artigiani; erano concentrati soprattutto a Ochiai, e ci sono tutt'oggi forse perché è un punto dove si riuniscono i fiumi ed è ricco di acqua. Nell'epoca Taishô fu fatto l'arginamento: oggi in genere l'acqua è bassa ma una volta che piove abbastanza aumenta di circa l'80%».
«Neanche gli abitanti di Tokyo sanno che qui ci sono fabbriche di tintura! Noi lavoriamo soprattutto per grossisti e negozi di Kimono: si creerebbe qualche problema se noi produttori ci facessimo troppo pubblicità... Per questo fino a mio padre eravamo un po' nascosti. Sono rimasti tutti sorpresi quando abbiamo costruito il laboratorio tutto vetrato e questa galleria: cambiamo per non cambiare. Dovremo adattarci al cambiamento dei tempi per mantenere la tradizione. È necessario trovare un nuovo canale oltre al settore dei kimono, che è sempre più limitato. Per questo dobbiamo offrire nuovi prodotti e nuovi servizi. Participiamo alle fiere anche all'estero come Maison e Objet di Parigi; abbiamo cominciato a lavorare anche con qualche negozio in Italia».
«In origine facevamo la tintura di Edo Komon. Invece stanno diventando di moda i kimono di Edo Sarasa e visto che i laboratori che fanno Edo Sarasa sono molto meno rispetto a quelli che fanno Edo Komon, ora l'80% dei nostri prodotti sono Edo Sarasa. Non era strano che un artigiano che faceva Edo Komon cominciasse anche Edo Sarasa che è della stessa serigrafia; anzi, poiché Edo Komon è caratterizzata dai micro-disegni non è stato difficile per chi conosceva questa tecnica tingere anche Edo Sarasa,dove i profili di ogni disegno (itome), vengono tinti con modelli di carta».
«I motivi di Edo Sarasa sono infinitamente vari, da quelli più piccoli a quelli più semplici. Mi dispiace che non era molto conosciuto prima», dice la signora Keiko.
«La parola Sarasa esiste solo in Giappone. Qualche disegno viene chiamato Sarasa Indiana ma non è molto preciso. Il tessuto indiano ha una lunga storia: anche il tessuto europeo e sud-americano ha origine indiana. Gli stessi disegni che venivano applicati per la tappezzeria in Europa, invece, sono usati sul tessuto per kimono antico in Giappone. I motivi più comuni sono quelli con uccelli, fiori e piante».
«Andiamo alle fiere in Germania e Francia e loro hanno interesse non solo per gli oggetti ma anche per la storia: gli sembra strano che i disegni siano familiari nonostante sia un'artigianato dell'altra parte del mondo».
«Altri tessuti, come la tessitura Ôshima o Yûki che sono famose anche se sono i tessuti per kimono meno importanti di Sarasa, vengono prodotti abbastanza tutt'oggi, ma gli altri tipi di Sarasa (c'erano anche Nabeshima Sarasa, Kyô Sarasa) non vengono quasi più prodotti. Una volta c'erano più di 300 laboratori di Edo Sarasa: invece adesso rimangono solo 5 laboratori registrati fra cui alcuni producono meno di 10 pezzi all'anno. È un problema veramente serio trovare gli artigiani giovani per continuare a produrre Sarasa».
Infatti il primo obiettivo del nostro progetto è questo: se ci sono i visitatori al laboratrio e alla galleria i giovani artigiani hanno la possibilità di sapere direttamente che cosa pensa il pubblico della loro opera. Quando i clienti tornano da noi con un nostro kimono vuol dire che gli è piaciuto e sono stati contenti del nostro prodotto: questo ci dà grande soddisfazione e nello stesso tempo un senso di responsabilità. Effettivamente sono entrati i giovani artigiani nella nostra azienda. Anche la galleria che vende i loro oggetti è per dare loro un'altra soddisfazione».
«E poi organizziamo i corsi: è per gli artigiani anziani, per facilitare a tramandare il loro lavoro ai giovani. Evitiamo di avere troppi artigiani per un mercato così limitato. Loro diventano i maestri: è molto importante che sappiano di avere sempre un ruolo anche dopo aver ceduto il lavoro nel laboratorio ai giovani. Ci sono i motivi economici, ma è più importante questo. Sono modi per continuare a lavorare quando il settore non è più in corso di sviluppo».
«È sicuramente un lavoro difficile. Il settore dei Kimono sta sofferendo moltissimo. Continuare a produrre è il nostro compito assoluto ma come facciamo per guadagnare? Un muro dopo un altro. Comunque questo nuovo laboratorio con la galleria è uno dei risultati grazie ai quali abbiamo superato i problemi: con questo progetto non solo noi come Futabaen stiamo ottenendo effetti, ma anche Ochiai sta diffondendo sempre di più la sua immagine come quartiere di tintura».
Il signor Motobumi spera di andare avanti insieme alla sua città Ochiai. Sul loro sito e sul libro di presentazione ci sono gli articoli sulla storia del quartiere, informazioni sugli eventi e sugli altri artigiani. Alla galleria tengono un giornalino del quartiere, e una volta ogni anno aprono dei laboratori e delle fabbriche degli artigiani al pubblico: è un'iniziativa di alcuni giovani proprietari dei laboratori artigianali per far conoscere questa città di tintura. Ochiai: era uno dei luoghi più importanti della tintura. Futabaen e i loro compagni continuano la sfida per difendere l'orgoglio della tradizione.
Dopo alcuni giorni il Direttore mi ha invitato alla loro festa di fine anno: nei laboratori di tintura che usavano il riso per fare la colla c'era l'usanza di fare i mochi per capodanno l'ultimo giorno di lavoro. Partecipano gli artigiani e i dipendenti dell'azienda, i vicini, i fornitori e i collaboratori cha hanno sostenuto il progetto: tutti a pestare il riso nel grande mastello di legno nel giardino!
Il riso viene cotto nella pentola gigante dove in genere si cuociono i tessuti tinti e viene portato al giardino. Gli artigiani anziani danno le istruzioni e i giovani prendono il bastone per pestare. Oggi si sta perdendo questa usanza fra la gente ... invece subito vicino a Shinjuku - mega-capitale di Tokyo - vive ancora un'antica tradizione come simbolo dello spirito degli artigiani di Edo.
Sito ufficiale di Futabaen: http://www.futaba-en.jp
Intervista di Yoko Shimada. Testo © IROHA 2010. Foto per gentile concessione di Futabaen.
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