In alcune zone del Giappone il 13 aprile è giorno di festa: Jusanmairi. I ragazzi che hanno 13 anni si mettono il kimono e vanno ai templi dove si tiene una cerimonia per sottolineare il loro passaggio all’età adulta. In questo giorno i ragazzi indossano per la prima volta il kimono per adulti, non più quello per bambini, in modo che inizino ad abituarsi a portarlo e ad indossarlo correttamente.
I miei genitori non fecero questa festa per i figli, ma ricordo che mia madre fece cucire il mio primo kimono da grande: era di lana, un completo di kimono e un tipo di giacca con lo stesso tessuto. I kimono di lana furono inventati dopo la guerra, ma si sono diffusi molto come kimono da tutti i giorni e invernali.
Portavo questo kimono tutti gli anni soprattutto a capodanno per andare dalla nonna e dai parenti. Allora me lo metteva mia madre, fino a che a vent’anni cominciai la cerimonia del tè e imparai anche a indossarlo da sola. Quando si compiono vent’anni c’è un’altra festa, più diffusa e più importante, e in questa occasione i miei genitori mi fecero un altro kimono, di seta, più bello e più importante.
Da allora fino ad oggi ho indossato tanti kimono per tante occasioni: l’ultimo giorno dell’università, matrimoni di parenti e amici, capodanni, concerti, spettacoli ― e, naturalmente, per tantissime occasioni per la cerimonia del tè.
Ma pensandoci bene, la mia storia di kimono iniziò con quel kimono di lana: sì, mi mettevo i kimono anche prima di arrivare a 13 anni. Ne indossai al compimento di 3 e 7 anni che sono due feste molto importanti per le bambine, e per qualche anno frequentai lezioni di danza giapponese. Avevo anche diversi yukata (kimono estivi di cotone) che mi mettevo anche per la notte in estate, ma questo è un po’ particolare: yukata non è considerato un vero kimono. Invece quel kimono di lana per i 13 anni era veramente il primo kimono che mi mettevo come “mio vestito consueto” e da da quel giorno ho imparato e mi sono abituata a indossare i kimono in generale.
Oggi ogni tanto aiuto qualche ragazza, ma anche ragazzo, ad mettersi il kimono; però vedo che li portano quasi come “costumi da teatro”: si vede molto bene che non si sono abituati né a indossarli né a portarli. Purtroppo i loro genitori non gliel’hanno insegnato.
Io non sono una maestra di kimono, e neanche un’esperta. Ma quando me ne metto uno, mi sento profondamente a mio agio e sono contenta, molto più che con i vestiti occidentali anche quelli belli.
Credo che anche in Italia ci sia una cultura dei vestiti: noi giapponesi ormai ci mettiamo i vestiti occidentali tutti i giorni, ma non arriveremo mai a conoscere questi abiti e a portarli come gli italiani. Negli ultimi anni mi sembra che in Giappone ci sia un po’ di rinnovato interesse per la nostra cultura: spero che anche la cultura di kimono venga ripristinata e i giovani ricomincino a impararla e, a loro volta, insegnarla ai loro figli.